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SAPEVI CHE UN CALICE DI VINO CONTIENE L’ELISIR
PER IL BENESSERE DI CORPO, MENTE E SPIRITO?

Hai mai scoperto quanto benessere centellinato sia contenuto all’interno di un calice di vino, per l’armonia di CORPO, MENTE e SPIRITO? Il “nettare degli dei”, come veniva chiamato nel passato, è il simbolo dell’identità del nostro paese e racconta la storia dei micro paesi e delle regioni. In esso sono racchiuse emozioni, sensazioni, i cinque sensi, le metafore.

Se ne è parlato ampiamente in un incontro in libreria Rizzoli, tra Padre Luigi Cavagna, Biblista e Rettore del Liceo Luzzago di Brescia, la Naturopata Simona Vignali, esperta in Alimentazione Salutare, lo Psicoanalista Giuseppe Ferrari, Psicoterapeuta e Autore di “Vino e Psicoanalisi”, l’azienda Giordano Vini e il Sommelier Andrea Matteini.

A scaldare l’atmosfera, la cantautrice Patrizia Cirulli, con brani come “Vino e D’Annunzio”, “Sotto la luna” e “Barbera e Champagne”, insieme ai giovani musicisti Martina Nifantani e Giovanni Quattrini, che si sono esibiti con arpa e violoncello. Il frate Minore ha introdotto la tradizione della coltivazione della vite, tramandata nell’Alto Medioevo, proprio dai monaci, e la simbologia del vino nelle Sacre Scritture. Già nel libro del Genesi, Noè era ricordato come fondatore della viticoltura e il primo che sperimentò gli effetti inebrianti del vino, piantando una vigna. La Palestina, come in tutto il Medio Oriente, è un paese agricolo mediterraneo e l’uva e il vino formano parte importante del nutrimento ordinario; difatti la terra promessa è descritta come un paese «dove scorre latte e miele» e dove abbonda il vino, segno di fertilità, di abbondanza e di gioia, quindi di buona vita. All’arrivo degli Ebrei, la terra promessa diventerà il loro paese, Mosè manderà alcuni esploratori in ricognizione ed essi ritorneranno con un grappolo d’uva, da Ebron.

Il vino è il simbolo di tutti i doni di Dio, che porta la gioia dell’anima. La vigna abbandonata e distrutta è l’immagine del giudizio di Dio che “sradica” dalla terra promessa il popolo a lui infedele.

La vite è una pianta che necessita di anni per essere produttiva, simbolo di una volontà di stabilirsi. Per questo ogni asceta che non beve vino, vivendo in astinenza, diventa segno che non è ancora ora di godere pienamente della salvezza. A Babilonia e in Canaan il grappolo per dare vino era messo a morte nella sofferenza e da questa morte sorgeva il vino della vita. Il vino è allora assimilato al sangue, anche per il colore, mischiato nei sacrifici delle vittime sacrificali.

Il profeta Isaia descrive la relazione unica tra Dio e il suo popolo in un canto detto “della vigna”, dove il termine Dio è detto il mio “diletto” o “amato” ed è lo stesso termine con cui, nel Cantico dei Cantici, viene chiamato lo sposo. Anche nel Nuovo Testamento si ritrovano gli stessi collegamenti con la gioia, l’alleanza, il sangue, la vita e il regno futuro. Il vino nuovo è la nuova alleanza. Esemplare il primo miracolo di Gesù e l’acqua trasformata in vino, alle Nozze di Cana.

Cristo, inoltre, rifiutò il vino sulla Croce, perché non voleva si mescolasse con il suo. È curioso vedere che Gesù dona vino all’uomo, in segno della sua sofferenza e l’uomo offre vino a Cristo, perché la sua sofferenza sia minore. Gesù, dando il suo sangue, ha riaperto le porte che conducono all’albero della vita, poiché è lui stesso la vera vite, il vero albero della vita, così come nella celebrazione dell’Eucaristia.

È indubbio quanto prezioso sia stato il contributo degli ordini monastici alla ricostruzione della viticoltura, negli anni bui e contraddittori del Medioevo, dopo la caduta economica, spirituale e sociale dell’Impero Romano.

Il vino è prezioso per la Chiesa, simbolo assoluto della celebrazione eucaristica e, a fronte di una profonda povertà, scarsi mezzi di trasporto e costi elevatissimi, va da sé che la cosa più logica e remunerativa per la sacra amministrazione sia stata quella di impegnare i piccoli monasteri in attività produttive, per rifornire le scorte dei Vescovati del tempo.

Dobbiamo ai laboriosi fraticelli il grande lavoro di selezione dei cloni e delle forme perfezionate di coltivazione e vinificazione. Essi sono stati fino al XVIII secolo i “padri della vigna” e il proprio lavoro era considerato così prezioso, tanto da nominare un “praepositus”, cioè un monaco in alto grado, investito ufficialmente dell’incarico della cura della vigna. Tra questi, il Benedettino Dom Perignon, ad Hauteville.

Significativo rimane anche l’impegno dei Cistercensi in Borgogna, in quella terra mosaicata di vigneti racchiusi in recinti, a delinearne la terrena e materiale appartenenza, i “clima”, che per combinazione di microclima e terreno hanno reso micro-universi a sé stanti.

Al di là di prestigio, attaccamento ai frutti del lavoro di tutti, tradizioni, bisogni religiosi, il rapporto dei monaci con quel nectar era simbolicamente il Sangue di Cristo.

Padre Luigi ha simpaticamente concluso con qualche proverbio sul vino, come “bere alla cappuccina”, che è bere poveramente; “bere alla celestina”, che è bere largamente; “bere alla giacobina”, che significa bottiglia dopo bottiglia; “bere in cordoncino” (riferito ai francescani), che indica vuotare la cantina! L’incontro tra Sacro e Profano.

Simona Vignali ha mostrato quanto beneficio produca il vino sul corpo e quali sorprendenti potenzialità abbia sulla salute, sul metabolismo e sul sistema immunitario, poiché contiene sostanze anti-ossidanti, flavonoidi, polifenoli e antocianine, che contrastano il processo d’invecchiamento, provocato da fattori diversi, e numerosi minerali, vitamine ed enzimi, che si sono rivelati preziosi per l’organismo.

La dose ottimale è di due calici al giorno, cioè uno a pasto e rappresenta anche un antidepressivo naturale, grazie al resveratrolo presente nella buccia dell’acino, che mantiene la memoria, abbassa i livelli di colesterolo, regolarizza l’attività cardiaca, è antinfiammatorio e anticoagulante.

La Dottoressa poi ha elencato un elenco di enoliti, cioè infusioni a base di vino, fornendo qualche ricettina, come il vin brulè, o il vino agli agrumi per la pelle, o quello di eucalipto per i raffreddori, o di camomilla per l’insonnia, o il vino per la stitichezza, per la cura dimagrante. Ciò dimostra come l’alcol diventa un veicolo di erbe e un rimedio terapeutico naturale.

Lo Psicoanalista Giuseppe Ferrari ha parlato anche del contenuto del suo libro “Vino e Psicoanalisi”, nel quale ha accostato la conoscenza dell’enologia alla conoscenza di sé, un po’ come dire “Dimmi cosa bevi e ti dirò chi sei”, sia davanti a un buon calice sia su un lettino di analisi.

Il vino rappresenta la curiosità verso l’altro, la compagnia, la condivisione; presentato in questo modo, esso non genera eccesso e amarezza, come invece accade con il consumo più dannoso dei superalcolici.

Si è scoperto come esistano vini più cognitivi, razionali, che permettono l’approfondimento e l’introspezione di se stessi e anche degli altri o vini frizzanti, spumanti, che aumentano la voglia di dirigersi verso gli altri e sperimentarsi nelle relazioni.

La Psicoanalisi è una Scienza che, attraverso lo studio dei processi consci o inconsci, cerca di spiegare i comportamenti umani; accostata al vino, descrive quanto esso nasca profondamente e provenga da una cultura ed è spiegabile, perchè deriva dal suo terreno e da chi lo ha curato e fatto crescere. Lo Psicologo ha poi letto qualche passo del suo scritto, raccontando le caratteristiche caratteriali e comportamentali dei vari vini, che sono stati poi proposti nella degustazione.

Andrea Matteini, Sommelier di Giordano vini, ha introdotto il bel simposio, raccontando la storia di 100 anni dell’azienda, ai piedi delle Langhe e la sua tradizione, presentando tre differenti nettari: la rossa barbera, un bianco sauvignon e le bollicine del primitivo di mandria doc, che sono stati distribuiti e degustati da tutto il pubblico.

L’incontro si è concluso “Alla Nostra Salute“, anche senza il monaco Dom Perignon, apprezzando ciò che aveva “offerto il convento”, o meglio, gli amici di Verdi Radici e Amore Terra, che hanno imbandito un banchetto di prodotti biologici artigianali, accompagnati dal vino di Giordano Vini, da consumare con moderazione, per terminare a “tarallucci e vino”!

Si ringrazia anche il Sig. Giancarlo, fotografo ufficiale di Foto Torchio Monza.

(Raphaella Dallarda – INSPATIMEBLOG)

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